City Light

Luci, barlumi, fosfeni di luce

Lumi, barlumi, fosfeni di luce che abbagliano, nel tempo sospeso di una rappresentazione sovrapposta dentro alla quale il colore diventa segno, per la sollecitazione perturbativa di un’esperienza ottico-sensoriale. Lucio Schiavon è un’artista sensibile: il suo lavoro indaga il tempo e lo spazio nella dimensione di una luce artificiale che sovrasta la visione dinamica di una realtà metropolitana e si fonde dentro al ritmo frenetico delle città. Il tempo è la quarta dimensione dello spazio, e questo concetto — più di ogni altro — ha caratterizzato il pensiero artistico e filosofico durante tutto il XX secolo. Fin dalle prime esperienze dell’arte cinevisuale e dei movimenti optical, la pittura ha determinato una variante prospettica che delinea il carattere dinamico di queste particolari opere.


Dinamismo e percezione

Il convulso dinamismo delle metropoli impone la visione di un immaginario multiplo, che dichiara una maniera differente d’intendere la connessione spazio-tempo-movimento. Così Schiavon immagina un itinerario di luci, figure e architetture indistintamente percettibili. In una realtà urbana dove i moderni grattacieli si alternano a metropolitane, palazzi e mercati di strada, l’artista tende a fermare l’istante di un’alterata frenesia e a riportarlo sulla tela attraverso l’immaginario di un luogo/non luogo. Ogni strada della realtà contemporanea diventa quindi una possibile tavolozza per l’artista. Le sue frenetiche spinte pittoriche si riflettono sull’opera a intervalli casuali e provocano tensioni, vibrazioni, per nuove tessiture luminose. Le città visibili di Lucio Schiavon appaiono insomma come un luogo reale e immaginario nello stesso tempo — luoghi dinamici, connotati da una mobilità continua, ma anche liquida e capace di restituire la simultaneità di eventi plurimi.

Struttura e armonia

Nei suoi dipinti l’artista riesce a cogliere quella pulsione ottica che si scompone e ricompone dentro a un preciso disegno concettuale, sviluppandosi in forme di geometrie asimmetriche che sovrastano la scena. Tutte queste operazioni formali mirano a riassumere l’espressione e la bellezza di un’armonia cromatica che dichiara l’astrattismo; ma, se rivolgiamo l’attenzione al dettaglio dell’assetto formale, osserviamo che questo si compone in gruppi ben delineati, dentro ai quali risulta evidente una struttura figurativa — o meglio, evocativa — che mostra la presenza allegorica di personaggi e situazioni consone alla realtà del quotidiano.

La città come respiro pittorico

La città rimane dunque un elemento palpitante della pittura di Lucio Schiavon, dentro alla quale è possibile scorgere tensioni atmosferiche che dichiarano il pathos di una composizione in continuo mutamento. Nei suoi dipinti, il segno dell’artista si espande a dismisura ed emana particelle di colore che si diffondono sulla superficie con un moto euritmico. Ma quei barlumi, rivolti a descrivere il ritmo frenetico delle città metropolitane, potrebbero sembrare anche i riflessi che si specchiano nell’acqua della laguna — in quella Venezia che l’artista ha sempre considerato città visibile e invisibile nello stesso tempo, nella composizione armonica di quell’equilibrio perfetto tra la pietra e l’acqua.

Luce, segno e utopia

Dentro a questi suoi nuovi dipinti, l’artista mette in atto tutte le forze espressive della sua pittura, nelle quali risulta evidente la sfrenata spontaneità del carattere e la ricerca sperimentale di tonalità che trovano, nella rappresentazione sulla tela, una libera coreografia del segno. In queste sue metropoli immaginarie e immaginate, Schiavon ritrova l’utopia di giornate senza fine, con un tempo scandito dalla fluorescenza di colori intermittenti che confondono l’architettura del visibile. In queste sue opere — che mi piace definire moderne — l’artista riesce a fondere insieme la concentrazione e la leggerezza: riempire le piccole forme di significati ingegnosi, costringendo chi guarda a leggere con l’aiuto di una lente deformante la sovrana levità del segno, i significati e le allusioni. E ognuna di queste allusioni porta in sé una miriade di altri significati.

Verso la città perfettibile

La visione di una città perfetta scompare appena questa si intravede, e bisogna guardarla con discrezione, senza darle troppo peso, come una fuggente apparizione. Ma questo istante apre la superficie della visione e la rende aerea, fulgida e trasparente. Certo, non esiste la città perfetta — ma nei suoi interstizi ogni tanto si apre lo spiraglio di un’utopia minima, una crepa che si espande verso una visione universale. La città luminosa diventa quindi un luogo perfettibile: un tappeto, una macchia che dilaga senza forma e contiene al suo interno la città triste e la città felice.


— Stefano Cecchetto